Dopo cinque anni di gavetta, si delinea la sua nuova figura di attore per parti importanti: il generale dei Volsci Tullo Aufidio nel Coriolano di Shakespeare (Piccolo Teatro di Milano, 9 novembre 1957), Iang-Sun, l'aviatore disoccupato ne L'anima buona di Sezuan di Brecht (Piccolo Teatro di Milano, 22 febbraio 1958); Stefano Corsi, attor giovane, in Una montagna di carta di Guido Rocca (Piccolo Teatro di Milano, stagione 1957-58). Inizia anche il nuovo corso di Strehler che punta alla ricerca e all'approfondimento piuttosto che alla copiosità della produzione degli anni precedenti, secondo un percorso critico incentrato sul rapporto tra teatro e storia e tra teatro e società attraverso la messinscena di Shakespeare, di Brecht e di Bertolazzi. Per il Coriolano di Shakespeare, oltreché per L'anima buona di Sezuan di Brecht, Strehler adotta la recitazione epica che Graziosi, il quale ha riflettuto a lungo su Stanislavskij, riesce a sostenere con successo, non senza difficoltà, grazie alla sua straordinaria disciplina interiore e alla sua etica professionale. Egli, allievo di Silvio d'Amico, è per un teatro dove «il verbo prende carne e madre sovrana è la parola, che suggerisce il suono e il gesto e disegna l'immagine» (ivi). Ed è compito dell'attore, secondo Graziosi, «indagare la vita interiore del personaggio per poi elaborare la sua propria verità artistica ... e animare la parola con ritmi, colori, cesure, accenti, fantasia e intelligente mestiere» (ivi). Per il suo linguaggio scenico che entra nella coscienza dei personaggi Graziosi predilige il teatro di Henrik Ibsen, di Čechov, di August Strindberg per la ricchezza di intensità interiore delle sue figure umane. Dunque Brecht non è proprio nelle sue corde; ciononostante, nel maggio 1965, al Piccolo, darà voce e musicalità ai versi dell'autore tedesco in Bertolt Brecht, poesie e canzoni con la regia di Strehler.
Nel 1958 il rapporto con il Piccolo si interrompe bruscamente. Inizia per Graziosi una nuova fase artistica. È un percorso molto diversificato, non del tutto organico, comunque prezioso. Da un lato Graziosi è ulteriormente sollecitato nel suo impegno culturale ed artistico in quanto viene diretto da altri grandi registi con un repertorio di spessore: Luigi Squarzina per Romagnola, da lui stesso scritta (Teatro Valle di Roma, 5 febbraio 1959), per Il benessere di Franco Brusati e Fabio Mauri (Teatro Valle di Roma, 7 marzo 1959) e per Il grande statista di Thomas Stearns Eliot, (San Miniato, 29 luglio 1959); Franco Parenti per Lui e il frigorifero di Giuseppe Bertolucci, Il grido di Giuseppe Dessì e Night club di Giannantonio Cibotto, (Teatro Quirino di Roma, 12 marzo 1959); Mario Ferrero per Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare (Teatro Romano di Ostia, 29 giugno 1959) e Santa Giovanna di George Bernard Shaw (Torino, in piazza all'aperto, luglio 1962); Orazio Costa per Francesca da Rimini di Gabriele D'Annunzio (Vittoriale di Gardone, agosto 1960). Dall'altro lato Graziosi acquisisce l'esperienza del mestiere, entrando nella stagione 1959-60 nella Compagnia di giro Adani-Cimara, ma il repertorio proposto, leggero e consumistico, è vecchio e routinario e non soddisfa il palato raffinato di un intellettuale del teatro, quale si avvia ad essere il nostro attore. Perciò nelle stagioni successive egli si accasa al Teatro della Cometa di Roma per un repertorio più impegnativo e per ruoli consistenti: è Dimitri e poi Ivan nel Processo Karamazov di Fabbri (stagione 1960-61); è Leonardo Arciani nella Ragione degli altri di Pirandello (22 aprile 1961); è Fifì La Bella nel Berretto a sonagli di Pirandello (stagione 1960-61); è Stepänovic Smirnöv nell'Orso di Čechov; è Enrico VIII in Un uomo per tutte le stagioni di Robert Bolt (settembre-ottobre 1961). Infine entra nella Compagnia del Teatro Popolare Italiano di Vittorio Gassman e fa la parte di Enrico Verri in Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (dicembre 1961-giugno 1962).
La quantità e la qualità delle sue interpretazioni (diciannove in cinque anni) nel teatro di prosa, richiamano l'attenzione della Rai che all'epoca svolgeva un lodevole servizio pubblico riservando un posto di rilievo alla cultura, con la trasmissione settimanale di spettacoli di prosa e di sceneggiati di qualità. La Rai considera bravo ed affidabile il pur giovane Graziosi e gli affida ruoli, spesso di rilievo, in ben quindici commedie e tre sceneggiati. Il repertorio è ricco e vario: Friedrich Schiller, Arthur Miller, Strindberg, Fabbri, Paul Claudel, Massimo Dursi, Giles Stannus Cooper, ecc. La partecipazione poi ai tre sceneggiati, La pisana (1960), Il caso Mauritius (1961) e Corte marziale per l'ammutinamento del Caine, tutti di grande impatto sul pubblico, gli procura una grande popolarità. Nello stesso periodo lavora anche per il cinema: I fratelli corsi (1961) di Anton Giulio Majano e Il terrorista (1963) di Gianfranco De Bosio.
Nel frattempo, nel 1960, sposa Esperia Pieralisi, conosciuta, insieme con la sorella Virna Lisi, durante le prove della Romagnola e del Benessere; il 3 agosto 1961 nasce Stefania, la prima figlia.
Graziosi torna al Piccolo pronto ad interpretare ruoli più impegnativi rispetto a quelli ricoperti nel periodo precedente. Strehler, per la sua nuova edizione dell'Arlecchino, (Villa Litta ad Affori, 10 luglio 1963) gli affida la parte di Florindo che sarà sua per tutte le edizioni dell'Arlecchino, fino al 1987-88. «Il miglior Florindo di tutta la storia di Arlecchino» dirà Ferruccio Soleri (ivi), e Strehler anni dopo gli scriverà: «Anche un Florindo può dare la misura di un'arte raggiunta» (ivi). Nell'Enrico IV di Shakespeare, messo in scena da Raffaele Maiello al Castello Sforzesco di Milano, maggio 1964, Graziosi interpreta l'eroico Hotzpur in maniera magistrale tanto che Arturo Lazzari, il critico de «l'Unità », scrive: «Graziosi è un attore che stabilisce tra sé e il suo personaggio, tra sé e il pubblico un rapporto di tipo particolare: mai l'emotiva adesione per le istrioniche capacità di commozione; mai la ripulsa per incongenialità con la creatura drammatica chiamato ad interpretare. Invece una singolare forza di penetrazione ... una maneggevolezza del personaggio, una sua vitalizzazione che rifugge dalla facile magia dell'interprete, ma si fonda soprattutto sulla lettura logica, attenta, sensibile e avvertitissima del copione» (Arturo Lazzari, citato in Gualtiero De Santi, Franco Graziosi, L'Arte della parola, Pesaro, Metauro Edizioni, 2011, p. 23).
|