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«Archivio Multimediale degli Attori Italiani», Firenze, Firenze  University Press, 2012.
eISBN: 978-88-6655-234-5
© Firenze University Press 2012

Attore > cinema, teatro, televisione
NomeFranco
CognomeGraziosi
Data/luogo nascita10 luglio 1929 Macerata
Data/luogo morte08 settembre 2021 Roma
Nome/i d'arte
Altri nomi
  
AutoreElio Testoni (data inserimento: 15/03/2017)
CopywriterGiulia Bravi
Franco Graziosi
 

Sintesi | Biografia| Interpretazioni/Stile|

 

Sintesi

Attore di livello europeo, è uno dei protagonisti della storia del teatro italiano dell'ultimo cinquantennio. Interprete teatrale, cinematografico e televisivo, ha fondato il suo lungo e ricco percorso artistico sulla forza del pensiero, sulla poesia e sulla parola, coniugandole con una condotta scenica di grande evidenza, mai eccessiva, e con una plasticità espressiva sorretta dalla sobrietà e dal rigore.


Biografia

Franco Graziosi nasce a Macerata il 10 luglio 1929 dal matrimonio tra Armando Graziosi, funzionario della Cassa di Risparmio di Macerata e Beatrice Bonci, casalinga. All'età di cinque anni non può partecipare ad uno spettacolo per bambini per la partenza della famiglia per le vacanze. Se ne rammarica ma cresce in lui la curiosità per il teatro e a dieci-undici anni inizia a comprare la rivista teatrale «Il Dramma». Frequenta la casa del nonno materno Elia Bonci, pittore e letterato, che recita a memoria la Divina Commedia, possiede una ricca biblioteca ed un piccolo teatro per gli spettacoli amatoriali dei figli e degli amici. Quel teatrino col sipario rosso e i racconti della madre sulle sue "servette" goldoniane, alimentano la passione.

A dodici-tredici anni Graziosi fa una riduzione della Locandiera di Carlo Goldoni e la rappresenta nel suo teatrino di marionette. Tra il 1945 ed il 1949 frequenta il liceo scientifico, recita in una decina di spettacoli della Filodrammatica di Macerata e al primo festival nazionale delle Filodrammatiche. Al Teatro comunale Rossini di Pesaro, il 1° giugno 1948, vince il terzo premio come primo attore e Anton Giulio Bragaglia gli propone di entrare nella sua compagnia. Ma il giovane Graziosi deve terminare gli studi e solo nell'ottobre 1949, con la promessa ai genitori di iscriversi alla Facoltà di economia e commercio, può sostenere con successo l'esame di ammissione all'Accademia nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico.

Rimane affascinato dalla didattica dei grandi maestri, Silvio d'Amico, Wanda Capodaglio, Sergio Tofano, Mario Pelosini, Orazio Costa, che segue con costante attenzione, ma naturalmente trova pochissimo spazio nel saggio del primo anno di corso (solo due battute). Nel saggio del secondo anno recita la parte più consistente del pastore Tirsi nell'Aminta di Torquato Tasso; il terzo anno, in assenza del saggio, interpreta Dimitri in una scena tratta dai Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. Distintosi tra i giovani dell'Accademia, nel 1953 viene chiamato da Paolo Grassi al Piccolo di Milano.

Inizia una fase determinante per il percorso artistico di Graziosi che, pur con qualche interruzione, tra il 1958 e il 1963 e tra il 1966 e il 1972, rimane indissolubilmente legato alla storia del Piccolo, in particolare a Giorgio Strehler, fino al 1994. Il Piccolo, fin dal 1947, rappresenta per Strehler «il luogo dell'innovazione teatrale, della cultura che doveva contribuire a cambiare il mondo e a costruire un nuovo umanesimo» attraverso un repertorio che, pur eclettico, trova la sua coerenza «nel ricercare per ogni poeta la sua realtà e quella realtà restituire interamente al pubblico» per individuare «fino a che punto fosse possibile ricostruire elementi atti al ritrovamento di un'unità e di armonia in seno alla società contemporanea» (Giorgio Strehler, Per un teatro umano, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 45). «Io non conoscevo - dice Graziosi - quali fossero allora i valori professionali e morali del teatro italiano, ma trovai in quel luogo [il Piccolo] arte e disciplina, un'atmosfera che trasmetteva sicurezza e voglia di lavorare. Ero sempre tra le quinte che seguivo il lavoro di Strehler con gli attori... Ore ed ore di "lezione"... Tutto ciò che ho fatto in seguito è scaturito da queste mie prime sensazioni» (Franco Graziosi, Diario, Roma, Archivio privato Franco Graziosi).

In questi anni interpreta parti modeste, però progressivamente crescenti: il servitore, il cameriere che parla, il merciaiolo, l'infermiere, il bersagliere, il giovane studente, il boia, il macellaio, il messaggero, il carceriere ed altri personaggi ancora di secondo piano, in ben ventisette rappresentazioni. È comunque presente in tutti i grandi spettacoli strehleriani di questo periodo accanto a grandi attori con un repertorio che va da Goldoni a William Shakespeare, da Luigi Pirandello a Anton Čechov, da Carlo Bertolazzi a Bertolt Brecht, da Sofocle a Jean Giraudoux, da Euripide a Giovanni Verga, passando per la drammaturgia contemporanea, Luigi Squarzina, Federico Zardi, Diego Fabbri, Dino Buzzati. Graziosi, pertanto, acquisisce un bagaglio culturale e drammaturgico e un'esperienza attorale rilevante, mostrando sempre impegno e umiltà, molto apprezzati da Strehler.

Dopo cinque anni di gavetta, si delinea la sua nuova figura di attore per parti importanti: il generale dei Volsci Tullo Aufidio nel Coriolano di Shakespeare (Piccolo Teatro di Milano, 9 novembre 1957), Iang-Sun, l'aviatore disoccupato ne L'anima buona di Sezuan di Brecht (Piccolo Teatro di Milano, 22 febbraio 1958); Stefano Corsi, attor giovane, in Una montagna di carta di Guido Rocca (Piccolo Teatro di Milano, stagione 1957-58). Inizia anche il nuovo corso di Strehler che punta alla ricerca e all'approfondimento piuttosto che alla copiosità della produzione degli anni precedenti, secondo un percorso critico incentrato sul rapporto tra teatro e storia e tra teatro e società attraverso la messinscena di Shakespeare, di Brecht e di Bertolazzi. Per il Coriolano di Shakespeare, oltreché per L'anima buona di Sezuan di Brecht, Strehler adotta la recitazione epica che Graziosi, il quale ha riflettuto a lungo su Stanislavskij, riesce a sostenere con successo, non senza difficoltà, grazie alla sua straordinaria disciplina interiore e alla sua etica professionale. Egli, allievo di Silvio d'Amico, è per un teatro dove «il verbo prende carne e madre sovrana è la parola, che suggerisce il suono e il gesto e disegna l'immagine» (ivi). Ed è compito dell'attore, secondo Graziosi, «indagare la vita interiore del personaggio per poi elaborare la sua propria verità artistica ... e animare la parola con ritmi, colori, cesure, accenti, fantasia e intelligente mestiere» (ivi). Per il suo linguaggio scenico che entra nella coscienza dei personaggi Graziosi predilige il teatro di Henrik Ibsen, di Čechov, di August Strindberg per la ricchezza di intensità interiore delle sue figure umane. Dunque Brecht non è proprio nelle sue corde; ciononostante, nel maggio 1965, al Piccolo, darà voce e musicalità ai versi dell'autore tedesco in Bertolt Brecht, poesie e canzoni con la regia di Strehler.

Nel 1958 il rapporto con il Piccolo si interrompe bruscamente. Inizia per Graziosi una nuova fase artistica. È un percorso molto diversificato, non del tutto organico, comunque prezioso. Da un lato Graziosi è ulteriormente sollecitato nel suo impegno culturale ed artistico in quanto viene diretto da altri grandi registi con un repertorio di spessore: Luigi Squarzina per Romagnola, da lui stesso scritta (Teatro Valle di Roma, 5 febbraio 1959), per Il benessere di Franco Brusati e Fabio Mauri (Teatro Valle di Roma, 7 marzo 1959) e per Il grande statista di Thomas Stearns Eliot, (San Miniato, 29 luglio 1959); Franco Parenti per Lui e il frigorifero di Giuseppe Bertolucci, Il grido di Giuseppe Dessì e Night club di Giannantonio Cibotto, (Teatro Quirino di Roma, 12 marzo 1959); Mario Ferrero per Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare (Teatro Romano di Ostia, 29 giugno 1959) e Santa Giovanna di George Bernard Shaw (Torino, in piazza all'aperto, luglio 1962); Orazio Costa per Francesca da Rimini di Gabriele D'Annunzio (Vittoriale di Gardone, agosto 1960). Dall'altro lato Graziosi acquisisce l'esperienza del mestiere, entrando nella stagione 1959-60 nella Compagnia di giro Adani-Cimara, ma il repertorio proposto, leggero e consumistico, è vecchio e routinario e non soddisfa il palato raffinato di un intellettuale del teatro, quale si avvia ad essere il nostro attore. Perciò nelle stagioni successive egli si accasa al Teatro della Cometa di Roma per un repertorio più impegnativo e per ruoli consistenti: è Dimitri e poi Ivan nel Processo Karamazov di Fabbri (stagione 1960-61); è Leonardo Arciani nella Ragione degli altri di Pirandello (22 aprile 1961); è Fifì La Bella nel Berretto a sonagli di Pirandello (stagione 1960-61); è Stepänovic Smirnöv nell'Orso di Čechov; è Enrico VIII in Un uomo per tutte le stagioni di Robert Bolt (settembre-ottobre 1961). Infine entra nella Compagnia del Teatro Popolare Italiano di Vittorio Gassman e fa la parte di Enrico Verri in Questa sera si recita a soggetto di Pirandello (dicembre 1961-giugno 1962).

La quantità e la qualità delle sue interpretazioni (diciannove in cinque anni) nel teatro di prosa, richiamano l'attenzione della Rai che all'epoca svolgeva un lodevole servizio pubblico riservando un posto di rilievo alla cultura, con la trasmissione settimanale di spettacoli di prosa e di sceneggiati di qualità. La Rai considera bravo ed affidabile il pur giovane Graziosi e gli affida ruoli, spesso di rilievo, in ben quindici commedie e tre sceneggiati. Il repertorio è ricco e vario: Friedrich Schiller, Arthur Miller, Strindberg, Fabbri, Paul Claudel, Massimo Dursi, Giles Stannus Cooper, ecc. La partecipazione poi ai tre sceneggiati, La pisana (1960), Il caso Mauritius (1961) e Corte marziale per l'ammutinamento del Caine, tutti di grande impatto sul pubblico, gli procura una grande popolarità. Nello stesso periodo lavora anche per il cinema: I fratelli corsi (1961) di Anton Giulio Majano e Il terrorista (1963) di Gianfranco De Bosio.

Nel frattempo, nel 1960, sposa Esperia Pieralisi, conosciuta, insieme con la sorella Virna Lisi, durante le prove della Romagnola e del Benessere; il 3 agosto 1961 nasce Stefania, la prima figlia.

Graziosi torna al Piccolo pronto ad interpretare ruoli più impegnativi rispetto a quelli ricoperti nel periodo precedente. Strehler, per la sua nuova edizione dell'Arlecchino, (Villa Litta ad Affori, 10 luglio 1963) gli affida la parte di Florindo che sarà sua per tutte le edizioni dell'Arlecchino, fino al 1987-88. «Il miglior Florindo di tutta la storia di Arlecchino» dirà Ferruccio Soleri (ivi), e Strehler anni dopo gli scriverà: «Anche un Florindo può dare la misura di un'arte raggiunta» (ivi). Nell'Enrico IV di Shakespeare, messo in scena da Raffaele Maiello al Castello Sforzesco di Milano, maggio 1964, Graziosi interpreta l'eroico Hotzpur in maniera magistrale tanto che Arturo Lazzari, il critico de «l'Unità », scrive: «Graziosi è un attore che stabilisce tra sé e il suo personaggio, tra sé e il pubblico un rapporto di tipo particolare: mai l'emotiva adesione per le istrioniche capacità di commozione; mai la ripulsa per incongenialità con la creatura drammatica chiamato ad interpretare. Invece una singolare forza di penetrazione ... una maneggevolezza del personaggio, una sua vitalizzazione che rifugge dalla facile magia dell'interprete, ma si fonda soprattutto sulla lettura logica, attenta, sensibile e avvertitissima del copione» (Arturo Lazzari, citato in Gualtiero De Santi, Franco Graziosi, L'Arte della parola, Pesaro, Metauro Edizioni, 2011, p. 23).

Quindi nel Gioco dei potenti, da Enrico VI di Shakespeare, rappresentato da Strehler al Teatro Lirico di Milano il 18 giugno 1965, Graziosi ha il ruolo rilevante dell'Attore-Presentatore che riassume i fatti storici e riflette sui vizi dei potenti, sulla vanità delle ambizioni e sulla caducità del potere. Nella ripresa (1965-66) sarà anche il Duca di Gloucester. Prima ancora era stato l'avvocato Roger Robb, spietato nella sua indagine della verità, in Sul caso di J.R. Oppenheimer, messo in scena da Strehler (Piccolo Teatro di Milano, 25 novembre 1964) uno scienziato che aveva espresso le laceranti contraddizioni dell'uomo di scienza rispetto all'impiego bellico dell'energia nucleare.

Ma nel 1966 Strehler, con la messinscena dei Giganti, di fatto preannuncia il suo addio al Piccolo di fronte alla sordità delle istituzioni pubbliche rispetto alle esigenze di creatività e di intensità di ricerca artistica di un teatro pubblico. L'esigenza di privilegiare la creatività è avvertita anche da Graziosi che esce dal Piccolo. Nel frattempo è stato protagonista in altri lavori televisivi: Vanzetti nello sceneggiato televisivo Sacco e Vanzetti (1964), Coriolano in Coriolano (1965), il Falcone ne Il fucile di Papa della Genga (1965). Il 23 aprile 1966 nasce il suo secondogenito, Roberto.

Graziosi non è attratto dal nuovo teatro che, sorto proprio in quegli anni, nelle sue diverse formulazioni, sperimenta forme di rappresentazione inedite rispetto al modello teatrale prevalente; è, ad esempio, il teatro del protagonismo dell'attoralità creativa di Carmelo Bene, della rottura provocatoria del confine tra palcoscenico e platea di Carlo Quartucci, del teatro di visione di Marco Ricci, ed altro; è il teatro della contestazione del teatro convenzionale, del testo scritto, della figura del regista, del modo di produzione cui si contrappone la sperimentazione, l'abolizione delle gerarchie, l'incompiutezza dello spettacolo e l'utilizzazione di spazi alternativi rispetto al teatro tradizionale. Il nostro attore è lontano da queste posizioni: «Rifiutare il passato - egli scrive - significa inaridire le radici, togliere vitalità ad una espressione che abbia senso. Soltanto assimilando l'esperienza di un lavoro antico potremo dare forma a nuovi modelli, nuovi modi di essere interpreti di questo nuovo mondo» (Lettera di Franco Graziosi a Ugo Ronfani, Roma, Archivio privato Franco Graziosi).

Dopo un breve ritorno al Teatro della Cometa di Roma, entra nella Compagnia Proclemer-Albertazzi per ruoli di rilievo: è Egisto in Elettra di Sofocle (Teatro Olimpico di Vicenza, settembre-ottobre 1967) e Carl Salter in Come tu mi vuoi di Pirandello (stagione 1967-68). Quindi prova a far da sé e, insieme con Luisella Boni, Roberto Pescara e il regista Pier Antonio Barbieri, fonda la Compagnia del Triennio che, pur con un ottimo risultato artistico, sarà per Graziosi un disastro economico. La Compagnia mette in scena un solo spettacolo, Ivan Vasilevic di Michail Bulgakov (Teatro della Pergola di Firenze, ottobre-dicembre 1968); poi aderisce all'iniziativa di Strehler, che nel frattempo ha lasciato il Piccolo, per costituire il Gruppo Teatro e Azione con i suoi "amici" attori. Nel frattempo continua la sua intensa attività televisiva: recita in altri quattordici lavori televisivi, spesso in ruoli di grande rilievo, come Klaus Fuchs ne Il caso Fuchs di Tullio Kezich (1966), Egisto in Agamennone di Vittorio Alfieri (1968), Galeazzo Ciano nel Processo di Verona (1969).

È di nuovo con Strehler nei suoi tre spettacoli realizzati con il Gruppo Teatro e Azione. Interpreta molti ruoli nella Cantata di un mostro lusitano di Peter Weiss (Teatro Quirino di Roma, 25 marzo 1969); è Satin che grida: "L'uomo è la verità, l'uomo è libero" in Nel fondo di Maksim Gorkij (Teatro Metastasio di Prato, 12 novembre 1970); è il Primo Uomo in Referendum per l'assoluzione o la condanna di un criminale di guerra (Walter Reder) di Roberto Pallavicini e Gianfranco Venè (Teatro Manzoni di Pistoia, 4 giugno 1971). Con il ritorno di Strehler al Piccolo, tra gli anni Settanta e la prima metà dei Novanta, Graziosi recita da protagonista o comunque in parti di rilievo in tutti gli spettacoli del Piccolo, con la regia di Strehler o di altri registi suoi allievi. In La vita scellerata del nobile signor Gilles de Rais che fu chiamato Barbablù e la vita illuminata del suo re di Dursi (Piccolo Teatro di Milano, ottobre 1973) interpreta sia il mostruoso assassino sia il paternalistico ed ipocrita re Carlo VII. È la prima volta al Piccolo da vero assoluto protagonista e l'attore da un lato si impegna in una penetrante introspezione tesa a conoscere l'interiorità mentale e psichica del personaggio, dall'altro esibisce «una condotta scenica di fortissima evidenza e plasticità ... è il dualismo di Graziosi, diviso tra la fisicità sottolineata scenicamente e il movimento introiettivo dovuto anche al suo carattere» (Gualtiero De Santi, Franco Graziosi, L'Arte della Parola, cit., pp. 28-29). Per Barbablù l'attore vince il premio IDI 1975.

Nel Giardino dei ciliegi di Čechov (Piccolo Teatro di Milano, 23 maggio 1974) è Opachin e ne esprime magistralmente i sentimenti contrastanti, cioè da un lato il desiderio di un riconoscimento del nuovo status sociale, dall'altro la consapevolezza della carica di aggressività e di violenza del mondo nuovo che soppianterà il vecchio. Il senso profondo di queste contraddizioni è espresso da Graziosi contando ancora un volta sul valore della parola e sulla plasticità del gesto che, a suo avviso, per avere una perfetta concretezza scenica presuppongono una approfondita conoscenza dell'opera, del pensiero dell'autore, anche di quello che non si è manifestato nella scrittura, dell'epoca delle vicende e di come i personaggi le vivono.

Sempre negli anni Settanta il nostro attore è l'uomo in frac in Sogno ma forse no di Pirandello (Teatro San Babila di Milano, ottobre 1975); il capo della polizia in Le balcon di Jean Genet (Piccolo Teatro di Milano, 29 maggio 1976); Arnolfo nella Scuola delle mogli di Molière (Teatro dell'Arte al parco di Milano, stagione 1977-78); il Togasso in El nost Milan di Carlo Bertolazzi (Teatro Lirico di Milano, 18 dicembre 1979). Gli anni Ottanta sono ancora più pieni; egli si appresta a raccogliere l'eredità di Tino Carraro e diventare il primo attore del Piccolo. Tuttavia nel Temporale di Strindberg (Piccolo Teatro di Milano, 18 giugno 1980) il Signore è ancora Carraro e Graziosi è il Fratello. Di questa parte Graziosi non è entusiasta, tuttavia, grazie all'articolazione dei suoi toni recitativi, alla sua ironia e all'espressione del viso riesce a dare una rilevanza al suo personaggio; è il traguardo della sua ricerca espressiva: «Fu in quella ... circostanza che il mio mestiere divenne maturo anche se non ancora del tutto consapevole di tale maturità» (Franco Graziosi, Diario, Roma, Archivio privato Franco Graziosi).

Ritorna protagonista in altri spettacoli, alcuni dei quali qui ricordiamo. Nel Matrimonio di Figaro di Pierre Augustin Beaumarchais interpreta Figaro (Teatro Olimpico di Vicenza, 24 settembre 1980); è Ivan Kalomizief ne Gli ultimi di Gorkij (Teatro dell'Arte al parco di Milano, febbraio 1983); è Antonio nella Tempesta di Shakespeare (Teatro Lirico di Milano, novembre 1983); Ognuno nella Leggenda di Ognuno di Hugo von Hofmannsthal (Cattedrale di San Lorenzo, Lugano, 29 marzo 1987); è Boffi in Come tu mi vuoi di Pirandello (Piccolo Teatro di Milano, 27 marzo 1988). Attore ormai affermato Graziosi in questi anni è chiamato assai frequentemente in luoghi di grande prestigio culturale a leggere testi di prosa e di poesia, da Armand Salacrou ad Eschilo, da Dante alla poesia italiana del Novecento, dal Quattrocento a García Lorca, Brecht, Giacomo Leopardi, Giuseppe Ungaretti. Per Graziosi «la poesia è espressione massima del pensiero, sintesi di immagini; una scatola magica dove la ragione dell'uomo si fa musica» (ivi) ed ha sempre rappresentato per lui «la struttura sulla quale poggiare l'espressione teatrale. Con i suoi ritmi, colori, cesure, accenti, la frase poetica è un modello a cui attingere per ottenere la necessaria incisività espressiva nella prosa» (Lettera alla dirigenza del Piccolo del 29 marzo 2007, Roma, Archivio privato di Franco Graziosi,).

Intensa è anche, in questo periodo, la sua attività televisiva: tra il 1970 e il 1996 partecipa a ben trentasei lavori, spesso in ruoli da protagonista o comunque rilevanti (come, ad esempio, Le cinque giornate di Milano; 10 giugno 1940, il primo giorno di guerra di Mussolini; Gorgonio; I persiani; ecc.).

 C'è anche il cinema: è il maggiore Malchiodi in Uomini contro di Francesco Rosi (1971); il governatore Jaime in Giù la testa di Sergio Leone (1971); il generale Lucius Morton in Los amigos di Paolo Cavara (1972); il ministro delle partecipazioni statali in Il caso Mattei di Rosi (1972); Pietro Bonfigli in Al piacere di rivederla di Marco Leto (1976); Manuilsky in Antonio Gramsci, i giorni del carcere di Lino Del Fra (1977). Ma i maggiori successi li coglie ancora una volta a teatro: il 18 marzo 1989 e il 28 aprile 1991 al Teatro studio di Milano interpreta Mefistofele nel Faust, parte prima e parte seconda, di Goethe, con la regia di Strehler che è anche interprete di Faust. Nel giugno 1989 vince il premio Quadrivio. Nel 1992 è Giulio uno dei protagonisti in Siamo momentaneamente assenti di Squarzina (Piccolo Teatro di Milano, maggio 1972) e, per questa interpretazione, riceve di nuovo il Premio IDI. È poi, finalmente, Cotrone ne I giganti della montagna di Pirandello (Teatro Lirico di Milano, 27 febbraio 1994). Per Mefistofele Graziosi studia a fondo il personaggio per renderlo scenicamente coerente a se stesso: «Mefistofele - dice Graziosi - è l'idea del male. In quanto tale non ha una sola faccia ma infiniti modi di essere ... usa qualsiasi pelle per ottenere il suo scopo. È maschio e femmina, inflessibile e accondiscendente ... una sorta di istrione» (Franco Graziosi, Diario, Roma, Archivio privato Franco Graziosi). «Il Mefisto di Graziosi non è più un'entità compatta ma invece la gamma infinita di tante cose: un flusso - spiritico, infernale materiato con nervi ed aria - che l'attore rende in un processo continuamente metamorfico, dove la figura concreta del personaggio diventa una concrezione indefinibile privata della propria realtà, un corpo sottratto e svuotato e poi subito dopo ricomposto» (Gualtiero De Santi, Franco Graziosi, L'Arte della Parola, cit., pp. 46-47). Infine Cotrone, interpretato come un mago felliniano, narratore e insieme ragionatore ed esplicatore. Per far questo si serve della parola, del cui uso Graziosi è maestro, e dell'espressione facciale: «Il suo "dire" le parole è dunque un'opera di ricostruzione e di accorpamento... quasi un'operazione di ermeneutica affrontata sulle tavole del palcoscenico» (ivi, p. 51). «Straluna gli occhi e si infervora, varia le espressioni del volto adeguandole di volta in volta alle domande ... sorride ora sarcastico ora bonario ... quasi in bilico tra Prospero e Pirandello, il Cotrone che egli rappresenta sulla scena procede eccitatamente nel lavoro di comunicazione della verità» (ibidem). È l'ultima performance di Graziosi per il Piccolo di Strehler. A dicembre 1994 vince il premio Pirandello.

Nel dicembre 1995 ritrova Luca Ronconi, suo grande estimatore, che gli affida la parte del protagonista, il commissario Ingravallo, in Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana di Carlo Emilio Gadda (Teatro Argentina di Roma, febbraio-marzo e ottobre 1996), in un'edizione di circa cinque ore, in cui Graziosi è quasi sempre in scena. È un compito molto impegnativo. L'attore confessa: «Sono curioso. È una parte didascalica. La scrittura di un romanzo ... Non si tratterà soltanto di fare un personaggio, ma anche di dare vita ad immagini. Bisogna avere fiducia nella forza della parola» (Franco Graziosi, Diario, Roma, Archivio privato Franco Graziosi). Il Pasticciaccio è considerato unanimamente lo spettacolo dell'anno e l'interpretazione di Graziosi di straordinario livello.

Nel dicembre 1997 l'attore ottiene il premio "Federichino" per lo spettacolo. Quindi fino al 2009 sarà protagonista in altri nove spettacoli, tra cui Spettri di Ibsen, Alcesti di Samuele di Alberto Savinio, Temporale di Strindberg, Scene da Romeo e Giulietta nell'adattamento di Federico Tiezzi. In Spettri (Piccolo Eliseo di Roma, marzo-maggio 1998) Graziosi interpreta Manders che «non è certo "un'ira di Dio" ... ma semplicemente un uomo, di professione pastore d'anime, occupato in attività amministrative, preoccupato dell'"opinione pubblica", coinvolto nelle miserie umane, forse anche ingenuo» (ivi); è l'Autore in Alcesti di Samuele (Teatro Argentina, marzo-aprile 1999) «opera singolare, letteraria, espressionista con una certa aria pirandelliana, spesso enigmatica e comunque drammaturgicamente complicata» (ivi); nel Temporale (Piccolo Teatro di Milano, 8 aprile 2005) fa la parte del Signore, da tanto tempo attesa. «Strindberg come Čechov, Ibsen o Musil - annota Graziosi - appartengono al mio DNA ... sono scrutatori dell'animo umano, testimoni dei sogni, delle ansie, dei disagi, delle difficoltà esistenziali ... che soltanto la loro sensibilità ha rilevato appartenere all'uomo del nostro tempo. E sono questi i sentimenti che opprimono il Signore, che ho cercato di risvegliare nel mio animo, perché fosse possibile dare loro senso e ragione, forma e parola ... Non mi sono "calato" nel personaggio ... ho soltanto seguito il mio giudizio su un essere umano che soffre la sua umanità e il mondo che lo circonda» (ivi). Lo spettacolo sia a Milano che a Roma ha un successo straordinario. Nel 2004 vince il premio "Vallecorsi" e nel dicembre 2008 otterrà il premio Salvo Randone alla carriera. È, infine, un Romeo ottantenne in Scene da Giulietta e Romeo (Teatro Fabbricone di Prato, 26 novembre 2009), una proposta che sbalordisce e poi incuriosisce Graziosi, spinto verso questa nuova avventura dall'entusiasmo della sua famiglia. Ed anche questa volta il vecchio attore "funziona" e nel luglio 2010 riceve il premio speciale "Sipario eccellenza". Nel frattempo, tra il 1996 e il 2013, continua intensa, prestigiosa e molto seguita la sua attività di letture di prosa e di poesia (D'Annunzio, Pirandello, Franco Fortini, Dante, Eliot, Leopardi, Eugenio Montale, Giuseppe Parini, Eschilo, Goethe, Alessandro Manzoni, Alfieri, Francesco Petrarca, Ungaretti, Cervantes, Omero, ecc.).

Continua a fare televisione (Progetto Tessa, 11-18 giugno 2002; La Piovra 10, luglio 2002 e Questo amore, aprile-maggio 2003) ed anche cinema di grande qualità (il cardinale Bollati in Habemus papam di Nanni Moretti nel 2011 e il conte Colonna ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino nel 2013). Infine il 30 agosto 2015 a Sirolo riceve dal Centro Studi Drammaturgici Internazionali Franco Enriquez il Premio alla carriera.

Questo finora è il bilancio di un grande attore di livello europeo che con i suoi sessant'anni di attività ha attraversato la storia del teatro italiano: 106 letture nelle università, nei teatri, negli istituti culturali in Italia e all'estero, 108 spettacoli teatrali, senza contare le riprese con lo stesso cast e le tournée; 82 lavori televisivi, 10 film. 


Interpretazioni/Stile

«Nel mio caso - scrive Graziosi - la natura non mi ha permesso di "apparire", ma di "essere". E di questo mi sono giovato nel mio lavoro per indagare, trovare risposte, leggere tra le righe, approfondire ... e quando si arriva a scoprire un senso, un significato, una ragione ci si sente in stato di grazia. In quel momento si è, nessuno è sopra di te» (Lettera di Franco Graziosi a Giorgio Strehler del 1996, Roma, Archivio privato di Franco Graziosi). Una convinzione, questa, che Graziosi ha sempre mantenuto, sia nel comportamento sia nell'azione scenica. Sempre lontano dalle cronache mondane e dai riflettori della ribalta, in palcoscenico non ha mai assunto atteggiamenti e toni mattatoriali seguendo il suggerimento di Sergio Tofano, suo maestro, secondo cui virtù principali dell'attore sono la modestia e l'umiltà. Graziosi ha avuto in dote entrambe le virtù, accettando con disciplina ed etica professionale una lunga gavetta al Piccolo Teatro di Milano per, infine, diventarne il primo attore. Tuttavia modestia e umiltà non gli hanno impedito di acquisire un'autonomia espressiva non necessariamente coincidente con l'impostazione strehleriana, come è apparso nel Cotrone dei Giganti di Luigi Pirandello e nel Mefistofele del Faust di Goethe, ancorché il percorso artistico di Graziosi sia per grandissima parte legato al teatro milanese. La sua espressività, sempre sorretta da sobrietà e rigore, presuppone uno studio approfondito e costante: «Osservazione e curiosità - scrive ancora Graziosi - sono doti necessarie per interpretare le azioni degli uomini e gli accadimenti delle cose: indagini fondamentali per individuare impulsi e definire caratteri. L'attore ... con "autorità" (non con "disinvoltura") rappresenta la natura del soggetto che gli viene affidato e, accantonando il vuoto esibizionismo, attribuisce al personaggio il ruolo di unico e vero protagonista» (Franco Graziosi, Diario, Roma, Archivio privato Franco Graziosi).

Le sue interpretazioni non si riducono mai a mere esecuzioni; egli ordina «l'espressione su una musicale inappuntabilità ritmica e su una sempre corretta evidenza scenica, mai comunque straripante e neppure eccessiva» (Gualtiero De Santi, Franco Graziosi, L'Arte della Parola, Pesaro, Metauro Edizioni, 2011, p. 5). Gualtiero De Santi descrive inoltre l'attore come: «Provvisto di una maschera che appare differente ogni volta, ottenuta grazie alle sempre inesaurite risorse dell'esercizio interpretativo in una prospettiva d'arte» e nota che «da un lato c'è come un processo di svuotamento della propria psicologia, dall'altro c'è una sorta di forza che dal profondo si spalanca ed erompe sul palcoscenico entrando nelle pieghe più riposte dell'animo degli spettatori» (ivi, pp. 15-18). Graziosi dal canto suo, riflettendo sul proprio ruolo, così annota: «L'attore fa il suo lavoro sulla scena ogni sera ... replica parole e gesti in un gioco prestabilito che non mostra di conoscere: è la sua finzione. Improvvisazione e fantasia vivificano ... un impianto espressivo prestabilito e ripetuto mille volte ... ma sempre sorprendente, frutto di una "memoria dimenticata". Liberare la parola dal peso della memoria la renderà "imprevista" per chi la pronuncia e per chi l'ascolta. Una memoria "dimenticata" produrrà ogni sera un evento teatrale senza precedenti ed irripetibile. ... La memoria "dimenticata" rigenera se stessa in una libertà assoluta di espressione» (Franco Graziosi, Diario, Roma, Archivio privato Franco Graziosi).

Sulla forza del pensiero e sulla magia della parola che ne deriva, Franco Graziosi ha fondato il suo lungo e ricco percorso artistico. «La parola - scrive l'attore - è lo strumento illuminante per il significato e per l'immagine» (ivi). E ancora sostiene che: «C'è un metodo unico nell'arte drammatica: pensare. Soltanto il pensiero elabora concetti e immagini. Occorre dare incisività al dialogo e, seguendo la punteggiatura, inventare suoni, ritmi, cesure, governati da un'analisi logica perché il senso risulti chiaro a chi ascolta e possa coglierlo nel breve tempo che gli è concesso» (ivi). Con coerenza, dignità ed etica professionale, Graziosi si è sempre attenuto a questi principi: «Il teatro è stato per me lavoro e vita. Ho avuto molto e ho dato quello che ho potuto ... muovendomi con un po' di fatica, ma anche, perché no?, con buoni risultati» (ivi).

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